La Giustizia e le Parole.

Perché Giustizia a Parole?

Perché se il reato costituisce l’espressione di un conflitto sociale e il processo è lo strumento con il quale una società decide di abbandonare la vendetta privata per sostituirla con una “civiltà di parole” (per usare la felice espressione di Giacomo Devoto) dobbiamo occuparci delle parole e del linguaggio nel processo penale.

Perché ogni giorno in ogni aula entrano imputati, testimoni, collaboratori di giustizia, avvocati, consulenti tecnici. Essi partecipano al processo, ciascuno con il proprio linguaggio. Il risultato è la condensazione in aula del variegato repertorio sociolinguistico italiano.

Perché in una unica mattina o addirittura nell’ambito di un’unica udienza si possono alternare varietà linguistiche diverse: quelle giovanili, quelle della criminalità, dei tossicodipendenti o le cd. “interlingue” introdotte dai soggetti immigrati.

Perché anche i testi prodotti dal e nel processo penale sono meritevoli di attenzione: spesso sono caratterizzati da tecnicismi, parole ricercate, locuzioni auliche, inutili e dannose per la comprensione degli atti.

Perché in un processo possiamo imbatterci nella opacità di certi capi di imputazione, nella scarsa chiarezza di alcuni provvedimenti giudiziari oppure nella incomprensibilità di molti atti difensivi redatti dagli avvocati spesso caratterizzati da uno stile “burocratico” e inutilmente complesso.

Ecco che questo, in sostanza, vuol essere uno spazio di riflessione sull’utilizzo della lingua nel processo penale, per sviluppare negli operatori del diritto una seria  capacità comunicativa (verbale e scritta) e prepararli a una partecipazione consapevole e competente ai processi linguistici che si realizzano nella prassi giudiziaria è presupposto insostituibile alla legalità dello stesso processo penale.

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