L’ascolto del minore, i messaggi non verbali e alcune questioni di trascrizione.  

“Schèma”. Un termine che gli antichi greci utilizzavano per indicare la sagoma, il contorno di un oggetto, ma anche il gesto, la postura, insomma lo spazio della gestualità di un individuo.

            Un bellissimo libro dal titolo “Schemata. Comunicazione non verbale nella Grecia antica” di M.Luisa Catoni ripropone, tra le altre tematiche, la questione della rilevanza dei canali comunicativi non verbali in tutte le culture e in ogni epoca storica.

            Oggi sappiamo che la comunicazione non verbale costituisce un’ampia percentuale del processo comunicativo, che concorre con quello strettamente verbale.

            Fin dagli anni Settanta gli studi di linguistica forense hanno affrontato il problema della trascrizione delle comunicazioni non verbali e in particolare di quelle provenienti da minori in tenera età (generalmente fino a 6-7 anni).

            Tra le varie questioni ci si è posti il problema se la trascrizione “classica”, quella caratterizzata dalla riproduzione consequenziale e verticale delle domande e delle risposte, potesse garantire una adeguata rappresentazione della interazione.

Uno dei più importanti approfondimenti su questo tema rimane lo studio di Elinor Ochs, intitolato “Transcription as Theory” del 1979.

In questo studio si evidenzia come nella trascrizione di una interazione adulto-adulto la componente non verbale venga solitamente omessa oppure relegata in secondo piano: una espressione del viso, una postura del corpo, quando vengono annotati, lo sono con modalità che ne sottolineano una rilevanza secondaria: in una nota in fondo alla pagina oppure all’interno di parentesi quadre.

In sostanza si è sempre ritenuto, del tutto erroneamente, che la parte non verbale della comunicazione potesse essere disattesa, costituendo un aspetto secondario della relazione comunicativa.

In realtà uno dei maggiori progressi intervenuti nello studio della comunicazione proveniente dai bambini si è avuto con la consapevolezza che la comunicazione non verbale è assolutamente centrale.

Il comportamento non verbale del bambino costituisce infatti un canale che non integra quello verbale, in un posizione accessoria, bensì concorre con esso. La dimensione non verbale dovrebbe pertanto ricevere una maggiore attenzione nella trascrizione forense delle audizioni dei minori.

            A tal proposito molti linguisti hanno proposto modelli diversi di trascrizione della comunicazione non verbale.

Alcuni prevedono che la dimensione non verbale sia riportata all’interno della stessa riga dove viene trascritta la dichiarazione del minore. E’ la cd. forma “prosaica”:

Michele offre una caramella a Martina e la guarda negli occhi dicendo “Guarda”.

Martina sorride e dice “Eh”.

            Altri modelli di trascrizione separano invece la espressione verbale del bambino dalle comunicazioni non verbali. Per esempio, queste ultime possono essere collocate a destra della comunicazione verbale, come nell’esempio che segue:

Michele: “Guarda” [dopo aver offerto una caramella a Martina, mentre la guarda].

Martina: “Eh” [sorride].

            Una diversa variante invece colloca la comunicazione non verbale alla sinistra di quella verbale.

Michele: [offre una caramella a Martina guardandola negli occhi] “Guarda”

Martina: [sorride] “Eh”.

            Ovviamente ciascuno di questi formati presenta vantaggi e svantaggi.

            La metodologia “prosaica” ha il beneficio di integrare materialmente le azioni verbali e quelle non verbali in un medesimo spazio di attenzione per il lettore (il medesimo paragrafo).

Tuttavia è un modello che rischia di risultare di difficile leggibilità. Si pensi all’ipotesi in cui il bambino mentre parla esprima contemporaneamente una notevole quantità di movimenti: in tal caso la descrizione di entrambi i canali comunicativi su un medesimo paragrafo renderebbe caotico il testo e certamente poco comprensibile la struttura stessa della interazione tra i due soggetti (Michele ha offerto la caramella e poi ha detto “guarda” oppure le due comunicazioni sono avvenute contemporaneamente?).

            Le altre due metodologie hanno il pregio di separare i due canali comunicativi, ponendoli l’uno a fianco dell’altro. Esse comportano tuttavia il rischio di una fallacia cognitiva per il lettore della trascrizione.

            Il primo rischio è connesso al fatto che in questo modo la trascrizione potrebbe suggerire una percezione di questi due canali comunicativi come separati e distinti.

Altro problema è quello connesso alla direzionalità della lettura del linguaggio scritto, che notoriamente segue il senso sinistra-destra. Ne consegue che il materiale comunicativo collocato sul lato sinistro della pagina probabilmente catturerà per primo l’attenzione del lettore rispetto a quello collocato sul lato destro.

In sostanza se la comunicazione verbale è trascritta sul lato sinistro, essa verrà letta per prima e al di fuori di qualsiasi contenitore non verbale: in questo caso le parole pronunciate dal minore saranno isolate e le informazioni non verbali verranno acquisite dal lettore solo successivamente, al termine della riga di trascrizione. Quando il lettore giungerà a leggere la parte non verbale, dovrà necessariamente tornare indietro e rileggere quella verbale alla luce delle nuove informazioni assunte.

Purtroppo l’attività di trascrizione risente molto del fatto che generalmente segue un inflessibile modello plasmato per le sole comunicazioni tra adulti, nel quale cioè le sequenze nella conversazione sono rappresentate come coppie rigide (per es., “invito-accettazione” o “domanda-risposta” – cfr. H. Sacks, E. A. Schegloff, G. Jefferson, “A Simplest Systematics for the Organization of Turn-Taking for Conversation”, 1974).

            All’interno di questo modello ovviamente il canale non verbale ha sempre ricevuto scarsa attenzione.

Se applichiamo questo modello così “statico” all’interazione con un bambino rischiamo di non registrare una serie di comunicazioni importanti, quali quelle non verbali.

            Ipotizziamo che l’adulto interrogante ponga una domanda e il bambino, dopo qualche secondo, si esprima con una smorfia. In questo caso salta la classica coppia adiacente domanda-risposta, usualmente valida nella conversazione tra adulti, perchè il secondo turno (la risposta del bambino) è di tipo non verbale. E’ evidente che quella specifica espressione del volto non potrà essere descritta con modalità grafiche di degradazione (per esempio, in una nota a pie’ di pagina oppure tra parentesi quadre).

A ciò si aggiunga che spesso i bambini pongono in essere comunicazioni non verbali conseguenti non necessariamente alla sollecitazione ricevuta dall’adulto immediatamente prima (per esempio, una domanda), bensì a una sollecitazione (verbale o non verbale) registrata qualche “turno” prima (come l’indicazione di un oggetto da parte dell’interrogante – E. Sochs, “Transcription as Theory”, 1979).

            E’ stato inoltre notato come lo stesso setting dell’intervista eseguita con il minore (caratteristiche dello spazio nel quale essa ha luogo) possa essere introiettato dal minore a tal punto da costituire per lui improvvise sollecitazioni alle quali può reagire con alcuni gesti o espressioni verbali. Anche in questo caso il bambino avrà occupato il proprio “turno” di parola mediante una comunicazione conseguente a uno stimolo esterno di natura diversa.

In definitiva, quale modello di trascrizione forense sia quello più adeguato a documentare la complessa interazione adulto-minore è ancora oggetto di attenta ricerca sia all’estero che in Italia.

Lo studio e l’approfondimento di questo tema consente però all’avvocato e al magistrato di essere quantomeno consapevole circa le questioni connesse a tale tipologia di trascrizione e di disporre di una capacità critica utile per affrontare questo delicato atto processuale.

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