Il processo da remoto, o meglio il processo liquido farà scomparire un’intera geografia.
Innanzitutto il processo liquido farà scomparire i luoghi dei Passi Perduti.
Non è una licenza poetica. In ogni Palazzo di Giustizia, da sempre, ci sono corridoi e luoghi chiamati «dei Passi Perduti». Nel Palazzo della Corte di Giustizia dell’Unione Europea come nel Palazzaccio a Roma, nel Palazzo di Giustizia di Mons in Belgio o in quello di Bruxelles così come nel modernissimo Tribunale di Parigi, progettato da Renzo Piano, si trova sempre almeno un’area chiamata la «Salle des pas perdus».
Si tratta di quegli spazi prossimi alle aule di udienza nei quali sono soliti passeggiare gli avvocati prima del processo, conversando e confrontandosi, «spazzando la sala con le loro toghe» come scrisse Balzac.

Simbolicamente la sala dei Passi Perduti è lo spazio che separa il «profano» dal «sacro» e consente di accedere progressivamente all’aula d’udienza in cui la giustizia viene resa pubblicamente e solennemente.
Nel Tribunale penale di Roma abbiamo addirittura la fortuna di disporre di una piazzetta che accoglie i nostri Passi Perduti.
Se è vero, come diceva D’Alembert, che lo spazio architettonico e urbanistico è quel luogo definito solo dalle relazioni e dalle posizioni lo occupano, allora con il processo liquido scompariranno gli spazi del processo e le relazioni che vi si intessono. Scompariranno i nostri Passi Perduti, scomparirà la Piazzetta, scomparirà la Città, scomparirà la comunità.

Pierre-Ambroise Richebourg, La Sala dei Passi Perduti del Palazzo di Giustizia dopo gli incendi della Comune, 1871 – Stampa su carta, Musée d’Orsay.
In questo senso il processo liquido cancellerà non solo l’aula di udienza. Farà scomparire l’intero Tribunale e inghiottirà nel nulla le voci passate, presenti e future di tutti. Finiranno le occasioni di incontro e di crescita professionale.
In altre parole, con il dissolvimento del luogo-Tribunale scomparirà l’attesa del processo. Quell’attesa che si consumava, appunto, nei luoghi dei Passi Perduti.
Eppure è antico insegnamento dei Maestri quello secondo cui il processo debba essere affrontato ben prima di entrare in aula.
Fuori dall’aula, passeggiando per i luoghi dei Passi Perduti, conversando con qualche collega, abbiamo imparato a rinunciare alle eccezioni, a calibrare la discussione, a modificare l’approccio all’udienza, anche all’ultimo momento. Solo gli stupidi non cambiano idea.
Entrati in aula, percepiamo l’aria che tira, sappiamo capire che non è il caso di porre quelle domande o di formulare quell’eccezione che ci eravamo proposti. L’avvocato si fa anche “a naso”, lo sappiamo. Le aule di udienza, le nostre passeggiate per raggiungerle, gli sguardi e le parole che scambiamo lungo quei nostri Passi Perduti odorano di comunicazione, di circolazione, di contaminazione, di tormenti, di dubbi.
La scomparsa del Tribunale come luogo fisico ove si amministra la giustizia non è solo un dato che riguarda la pianificazione urbanistica. Il Tribunale per la comunità del territorio è da sempre qualcosa di più di un edificio pubblico. Per Weber, «la città dell’Occidente è un distretto della giurisdizione». Come ha scritto Massimo Tita, in periodo medioevale «per aversi comunità bastava un patto tra uomini che sceglievano di vivere insieme, la coniuratio appunto, e l’affidamento ad alcuni di loro di una potestà importante: giudicare le violazioni dell’accordo sociale». Amministrare la patologia nei rapporti sociali era una funzione incisa nello statuto della città, era garanzia di funzionamento della convivenza per quella comunità. La visibilità del luogo ove siede il giudicante addensa sensazioni, fantasie, speranze, timori collettivi e di singoli. La dimensione semiotica dell’architettura concorre alla realizzazione dell’amministrazione della giustizia.
Scrive Di Fiore a proposito dell’antica sede del Tribunale di Napoli, a Castel Capuano: «Ma eccolo il vero protagonista di Castelcapuano, il luogo simbolo del caos che ha spesso contraddistinto la Giustizia napoletana: il cortile. E’ qui che, in un’unica agorà che racchiude contraddizioni e cultura di un’intera città, si sono trovati per secoli insieme imputati e giudici, avocati e ‘paglietti’, giornalisti e loro fonti. Palestra di chiacchere, ma anche di pettegolezzi, luogo di postulanti pronti a vendere una testimonianza».
Con il processo liquido accettiamo la miope illusione che il processo inizi con un click, con una mutazione nel codice binario, da Zero a Uno, con una improvvisa messa in onda, come un tuffo a freddo.
Annuseremo i cavetti e il monitor, capiremo che aria tira in base alla stabilità della connessione, alla nitidezza dell’immagine, alla qualità del segnale audio. Nel camminare dall’ingresso alla camera di studio per raggiungere l’aula virtuale incontreremo i nostri soliti oggetti, l’appendiabiti, la consolle dove appoggiare le chiavi, fino a raggiungere la nostra scrivania senza sorprese, senza imbatterci in incontri casuali.
Saremo così testardamente convinti della nostra strategia difensiva e, come tutti gli altri, anche noi diventeremo persone senza dubbi.
Gruppo Facebook “Giustizia A Parole”: https://www.facebook.com/groups/1352326014931521/?ref=share
H. de Balzac, Splendori e miserie delle cortigiane, Bur, 1996.
M. Weber, La città, Bompiani, 1950.
M. Tita, I palazzi della giustizia e della pena. Note brevi su architettura e giurisdizione. In Il potere dei conflitti. Testimonianza sulla storia della Magistratura italiana, Giappichelli, p. 475.
G. Di Fiore, Castelcapuano: tre secoli di “giustizia” a Napoli, Introduzione a G. Petroni, Del Gran Palazzo di Giustizia a Castel Capuano in Napoli, Stamperie e Cartiere del Fibreno, 1996.
Complimenti per l’articolo, pieno di verità, che, ahimé, vengono quasi con rassegnazione sottovalutate.
Non riesco a capacitarmi che una classe di professionisti come la nostra non abbia l’ardire di proporsi ed imporsi nei confronti di qualsiasi classe politica, presente e futura, al fine di scongiurare la morte del millenario processo penale così come l’abbiamo conosciuto ad oggi!
Che tristezza sentirsi impotenti nella consapevolezza che qualcosa si possa e debba fare.
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Grazie. Attualmente una flebile speranza risiede nell’intervento del Garante della Privacy, interpellato da UCPI, che esprime parere negativo per i rischi connessi allo spionaggio informatico della giustizia italiana. Intanto per il 27 cm a Roma è prevista la trattazione di un processo da remoto con circa 60 imputati.
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