Nuovo Dizionario del processo penale da remoto. A – D

Quantunque la controriforma del processo penale a distanza sembri momentaneamente depotenziata (la cautela è doverosa), ecco una lista di parole che avremmo perso e di quelle, di nuova introduzione nel lessico forense, con le quali abbiamo già dovuto fare i conti.

 Si tratta della compilazione di 18 voci, non esaustiva ma emblematica del rischio che abbiamo corso e che, forse, tutt’ora corriamo.

AULA

Con il termine αὐλή (aulé) gli antichi Greci indicavano non solo la corte, il cortile, cioè la zona interna e protetta del palazzo, ma anche il cortile del tempio e, in senso più generale, lo spazio libero e aperto. È un termine derivante dalle forme verbali ἄω-ἄημι, che significano «soffiare», «respirare».

La destinazione di questo spazio agli incontri e alla parola emerge dagli studi condotti sugli antichi palazzi ellenistici: in molti palazzi l’aulé era un luogo nel quale le truppe venivano radunate per ascoltare il Re.

Nel paradigma del processo a distanza viene chiusa l’aula di udienza, che viene dislocata in uno spazio virtuale. Il significato della parola «aula» subisce necessariamente un cambiamento.

A differenza di molti fenomeni linguistici nei quali il significato di una parola cambia (anche) attraverso un diverso uso da parte dei parlanti, in questo caso la mutazione è fuggita dal laboratorio del Legislatore ed è stata decretata dall’alto, per via governativa e parlamentare.

Anzi la prima traccia significativa del cambiamento semantico è contenuta in un atto del 20 aprile 2020 proveniente dalla Consulta, che in un comunicato sulla celebrazione delle udienze nei giudizi costituzionali tramite collegamento telematico ha precisato come «il luogo da cui essi [i giudici] si collegano è considerato camera di consiglio e aula di udienza a tutti gli effetti di legge». L’aula è ubiqua.

Il suggerimento è stato prontamente recepito dal Governo e dal Legislatore, i quali, nel tempestoso rincorrersi dei recenti provvedimenti normativi, hanno stabilito che «il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato camera di consiglio a tutti gli effetti di legge».

Così si è realizzata la dislocazione e il nuovo significato sarà valido a partire dal giorno successivo alla pubblicazione sul supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale.

BORSA

Il processo da remoto ha seriamente minacciato l’esistenza di questo particolarissimo oggetto, rischiando di confinarlo in una dimensione anacronistica.

Tra i lavoratori appartenenti alle professioni intellettuali gli avvocati penalisti sono rimasti gli ultimi, insieme ai medici di famiglia, a utilizzare nella propria attività le borse di pelle.

Tutta una semiotica di questo strano oggetto è stata ritualizzata nel corso del tempo.

La borsa è onorevole se oggetto di dono (dal collaboratore al Maestro o viceversa), pregevole se di pelle (come vuole l’etimo greco βύρσα «pelle», «otre di pelle»), addirittura preziosa se la pelle fa sfoggio di ferite e consunzioni dovute agli sfregamenti e ai fragorosi ribaltamenti sui banchi delle aule.

Il tipo, il colore, la dimensione di questo oggetto presentano al pubblico il professionista che la porta, la cui caratura viene espressa (anche) dal rigonfiamento della borsa: se ricolma di fogli e fascicoli, a stento chiusa, trasportata a fatica, viene esibita tra corridoi e aule come un pesante trofeo, testimonianza di numerose vittorie.

La borsa gonfia è anche un sofisticato strumento strategico: mostrata con disinvoltura alla controparte prima dell’udienza, se ne ottiene un sottile effetto intimidatorio, lasciando trasparire un grado di studio del processo proporzionale alla volumetria del bagaglio.

Il processo a distanza ha rischiato di far tramontare definitivamente questo antico stemma professionale. Con la scomparsa dell’aula la borsa non ha più un luogo ove esser trasportata, incalzata da nuovi giovani protagonisti dell’archiviazione, come i computer portatili e le varie tipologie di hard-disk.

In tal caso, la vecchia pelle cederebbe il posto al silicio, in una chiara profezia del destino delle relazioni umane.

CONTRADDITTORIO

Nel nuovo lessico processuale questa parola viene riconvertita.

Il contraddittorio è stato rappresentato per la prima volta da Eschilo, nelle Eumenidi, all’incirca nel 458 a.C. Quando Oreste, perseguitato dalle infernali Erinni, si rivolge ad Atena per esse giudicato, la Dea ascolta le accuse delle forze infere e poi si rivolge all’accusato chiedendogli: «E tu, che cosa vuoi obiettare a tua volta? Difenditi da quest’accusa».

In questi essenziali versi era già descritto in sintesi il principio del giusto processo: il diritto dell’imputato a essere condotto davanti al proprio giudice naturale, l’accertamento del fatto tramite la regola del contraddittorio.

Con il processo celebrato davanti allo schermo a cristalli liquidi, non esiste uno spazio ove l’imputato, condottovi, si trovi davanti al proprio giudice.

Per questa nuova modalità di accertamento giudiziario si è stati a lungo alla ricerca di un termine che la descrivesse, risultando ormai antiquato quello di contraddittorio.

Sotto la spinta della ricerca di un doveroso aggiornamento, sembra che qualcuno al Ministero volesse proporre una nuova formulazione dell’art. 111 della Costituzione, per il momento accantonata: «ogni processo si svolge nella videoconferenza tra le parti, in condizioni di parità tecnologica, in connessione diretta con un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la stabile e continuativa trasmissione telematica».

DISPOSITIVO

Le ambiguità semantiche testimoniano la vitalità di una lingua. Se nel vecchio lessico giuridico il dispositivo indicava originariamente la parte della sentenza nella quale viene enunciata la vera e propria decisione del giudice, nel nuovo lessico il medesimo termine indica anche il congegno elettronico deputato alla celebrazione del processo.

Così i nuovi dispositivi appaiono adattatori indispensabili per partecipare alla nuova udienza virtuale, alla quale le naturali facoltà umane non avrebbero accesso. 

Il dispositivo del microfono è indispensabile a far funzionare il naturale dispositivo vocale dell’avvocato, il dispositivo del monitor è necessario per l’umano dispositivo visivo, il dispositivo audio del computer per il nostro personale organo acustico. Se difettano i primi, il difensore rischia di non parlare, di non vedere, di non sentire.

Tra i due dispositivi il cortocircuito costituisce evento più che probabile, esiziale nel solenne momento della lettura della sentenza: se il dispositivo del microfono facesse capricci, l’altro dispositivo, quello del Giudice, sarebbe invalido per mancata lettura. Il dispositivo ha bisogno del dispositivo.

Gruppo “Giustizia A Parole – Appunti di Linguistica Giudiziaria”: https://www.facebook.com/groups/1352326014931521/?ref=share

Riferimenti bibliografici

Erskine, Llewellyn-Jones, Wallace, The ellenistic Court, 2017, pp. 48-49

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